INTERVISTA ALL'AUTORE DARIO TEDESCO

INTERVISTA ALL'AUTORE DARIO TEDESCO
Bentornati al puntualissimo appuntamento delle interviste del giovedì de Il Salotto Letterario e de Il Salotto Creativo del gruppo Facebook MyMee-Express Yourself. Oggi siamo in compagnia di Dario Tedesco, autore dei romanzi La corte dei Cappuccini (insieme all'autrice Geraldine Locci) e Déjà vu - Il Cammino di Santiago. Accomodiamoci e lasciamo a lui la parola...


Ciao Dario, benvenuto nel mio salotto. Raccontaci qualcosa di te. 
Ciao Caterina e grazie dell’ospitalità. Mi chiamo Dario Tedesco, sono nato a Trieste nel 1973 e da vent’anni vivo a Udine. Confesso che col passare del tempo mi piace sempre meno parlare di me, perciò questa tua domanda mi pone un po’ in difficoltà. Sono molto orgoglioso di essere papà di tre figli e in generale sino ad oggi ritengo di avere avuto una vita fortunata che mi ha permesso di seguire le mie passioni, in particolare i viaggi, lo sport e le letture. 

Come ti sei avvicinato alla scrittura? 
Vivo in una terra di confine, amo spostarmi a piedi o in bicicletta, prevalentemente in solitaria. Ho iniziato a intraprendere dei piccoli viaggi nel 2003 e sin dalla prima volta ho avvertito la necessità di fermare i pensieri su un quaderno, per catturare l’essenza di ciò che mi faceva stare bene, come ad esempio un panorama, un incontro o una sensazione. Man mano che scrivevo mi accorgevo che con la penna riuscivo a spogliarmi di ogni maschera per trovarmi davvero, nel bene e nel male, davanti a me stesso. Col tempo l’esperienza stessa della scrittura è diventata un’attività bella che mi fa sentire vivo. Talvolta accade di sperimentare la creatività e capitano istanti in cui le parole sembrano pescate da un luogo segreto, estraneo alla mente e al proprio io. 

Qual è il tuo genere preferito? 
Mi sono avvicinato alla lettura un po' tardi per poi tuffarmi nei libri quando ho trovato autori che sembrava mi capissero o mi raccontassero ciò che volevo conoscere. Ho amato da ragazzo Herman Hesse e i fumetti di Corto Maltese, poi ho letto con voracità Dominique Lapierre, Montanelli, Baricco, Coelho, Jodorowsky, Terzani e recentemente Karl Owe Knausgard. In generale i romanzi storici e i libri di viaggio sono stati i miei preferiti. Ma ho coltivato negli anni la lettura di romanzi distopici senza tralasciare i classici e qualche fuga nella poesia. 

Parliamo un po’ delle tue opere. Come sono nate? Di cosa parlano? Quali sono i temi principali? 


Nel 2016 la vita che conducevo cominciava a starmi stretta, non ero soddisfatto, avevo voglia di abbandonare la sensazione di essere l’eterno passeggero di un treno di cui mai sceglievo la destinazione. A settembre mi sono convinto che per cambiare le cose dovevo ascoltare il consiglio di un amico e provare a realizzare un sogno. Sono partito per percorrere a piedi la via francese che porta a Santiago. Mi sono messo in viaggio e ho cercato di appuntare ciò che accadeva attorno a me e in me. Rientrato a casa, decisi che l’esperienza non andava dispersa. Avevo la certezza che si era messo in moto qualcosa di positivo, però non sapevo quanto sarebbe durato. Così ho dedicato molto del tempo libero di cui disponevo a scrivere e ordinare quanto raccolto. Ho voluto cimentarmi con un romanzo, Déjà vu, Il cammino di Santiago, ed ho immaginato una storia in due tempi che si alternano: uno in cui il protagonista da Santiago prosegue fino a Finisterre, raccontato in terza persona dalla voce narrante e l’altro dove il viaggio viene rivissuto in prima persona attraverso le pagine di un diario. Ogni capitolo cerca di mostrare la trasformazione del protagonista che avviene grazie agli incontri, alla riflessione e alla connessione tra il corpo che avanza e la natura che lo circonda. Ogni tappa offre l’occasione di fare una similitudine con quelle della vita, dalla nascita alla morte fino a un nuovo inizio. 


Nel nuovo lavoro invece, La corte dei Cappuccini, scritto a due mani con Geraldine Locci, abbiamo voluto raccontare una serata alla mensa dei poveri della nostra città, vissuta attraverso i pensieri e le azioni di dodici volontari. Partendo dalla corte di un ex convento ci si sposta in tempi e luoghi distanti tra loro, dalla Sicilia del dopoguerra all’Afghanistan di qualche anno fa, dal terremoto del Friuli alla Libia odierna. Questo libro per me è molto importante perché tramite la voce dei protagonisti racconta un microcosmo multietnico in cui l’integrazione diventa cooperazione grazie a due pilastri dello stare insieme: rispetto e solidarietà. Mi piace credere di aver provato a fare la mia parte in questi tempi di disumanità, con un dialogo confidenziale e intimo tra protagonisti e lettore, che spero possa fare riflettere sul fatto che siamo tutti essere umani, individui con valori e debolezze, a prescindere dalla nostra età, religione o provenienza. Ogni volta che racchiudiamo un individuo in una parola che identifica un insieme di persone, corriamo il rischio di etichettarlo con pregiudizi e critiche a priori, spesso infondate se davvero conoscessimo la sua storia. Sono orgoglioso del lavoro che stiamo iniziando a presentare. 

C’è un titolo di una delle tue opere che è particolarmente significativo per te? 
Senz’altro Dèjà vu rappresenta il punto di arrivo di un percorso compiuto, la chiusura di una fase della vita iniziata con la separazione dalla mia ex moglie. Circa sette anni in cui ho imparato a destrutturarmi, a mettermi in discussione e a chiedere aiuto per riuscire a mettermi in gioco e provare a realizzare ciò che per me è davvero importante. Le parole di ringraziamento che mi giungono da chi legge il libro e la commozione che ho colto talvolta nel pubblico quando ho presentato il romanzo mi hanno incoraggiato a cercare ancora qualcosa da raccontare. La Corte dei Cappuccini è parte di un nuovo periodo, è scritto assieme alla mia fidanzata, ed è nato dopo aver a nostra volta vissuto una esperienza da volontari nella mensa della città. 

Da dove prendi ispirazione per scrivere? 
Credo di funzionare come autore se riesco a trasmettere ciò che nella vita mi incanta, stupisce o colpisce. Dolore, gioia, sofferenza e felicità si alternano in ogni esistenza. Ho la fortuna di poter ascoltare molte persone ogni giorno, ed ho imparato a riconoscere i momenti in cui si schiudono e confidano ciò che per loro è importante. Cerco allora di far tesoro di ciò che mi dicono e delle sensazioni che percepisco. Tutto questo diventa il magazzino da cui spesso quasi inconsciamente attingo per creare storie e personaggi. 

Ogni scrittore inserisce inevitabilmente una parte di se stesso nelle sue opere. C’è un personaggio in particolare che senti più vicino di altri? 
Direi che nel mio caso la risposta è scontata. Teo, l’uomo che compie il cammino per Santiago incarna molto di me, della mia sensibilità, dei miei pregi e difetti. Per mesi ho fatto difficoltà ad accettare che fosse il mio alter ego, volevo fosse un personaggio letterario e basta. Poi durante le presentazioni mi sono arreso all’idea che eravamo sovrapponibili. 
Nel nuovo lavoro invece, La Corte dei Cappuccini, ci sono dodici personaggi, sei scritti da ognuno di noi due. Anche tra loro, seppure non abbiano vite in apparenza simili alle nostre, disseminati in maniera più o meno voluta, ci sono eventi o esperienze che riguardano intimamente noi autori. 

Potresti raccontarci la tua esperienza con la casa editrice (o le case editrici) con la quale hai pubblicato? 
Ho pubblicato con una casa editrice marchigiana, Edizioni Montag di Alberto Cola che hai recentemente presentato come scrittore. Avevo completato il manoscritto e cercavo un modo per farlo pubblicare. Non avevo esperienza salvo l’autopubblicazione di un racconto lungo di cui oggi non vado troppo fiero. Ho inviato il mio lavoro a un concorso letterario da loro indetto, sono giunto tra i finalisti e mi hanno offerto un contratto vantaggioso per un esordiente, che ho accettato. Mi ritengo soddisfatto della mia esperienza con Montag e con il loro distributore di fiducia. Quando li contatto per dei chiarimenti sono rapidi e precisi nel darmi risposta. La distanza non mi ha creato particolari problemi salvo il fatto di non potere vedere il libro in bozza prima che uscisse. 

Hai partecipato a qualche evento per promuovere il tuo romanzo? 
Ho presentato il mio romanzo in ambito regionale a eventi organizzati autonomamente o assieme ad altri amici scrittori. Ho capito che se non ci credo io per primo in ciò che ho realizzato, gli altri difficilmente si muoveranno per me. Così mi sono proposto in molti ambiti per trovare una via per fare conoscere il mio lavoro. Talvolta le porte sono rimaste chiuse oppure mi veniva chiesto un compenso per avere la disponibilità di una sala. Altre invece al mio entusiasmo si è aggiunto il sostegno di alcuni sindaci, di titolari di librerie, di associazioni culturali e di gestori di locali che mi hanno offerto spazi ampi e accoglienti. Strade che sto ripercorrendo in vista della presentazione del nuovo lavoro. 

Hai qualche consiglio da dare ad un aspirante scrittore alle prese con la sua prima opera? 
Non vanto un’esperienza ampia, ciò che mi sento di dire è di avere pazienza, di non abbattersi alle prime difficoltà. Quando si inizia, può accadere che l’entusiasmo annebbi l’obiettività. Lasciate decantare i vostri lavori qualche settimana in più di quanto vi pare necessario. Curateli in ogni aspetto e non fatevi prendere dalla voglia di stampare. Ho visto tanti buoni lavori pubblicati con sviste ortografiche o impaginazioni approssimative che li rendono meno desiderabili, ed è un vero peccato. Se autopubblicate, confrontatevi con qualcuno e accettate le critiche costruttive, lasciate andare quelle fatte per abbattere. Se vi affidate invece a una casa editrice, il consiglio è di fare ben presente cosa per voi è importante sotto l’aspetto dell’impaginazione, del carattere utilizzato, delle spaziature e della copertina, per evitare rimpianti una volta che il lavoro è uscito.

Ringrazio Dario per essere stato in nostra compagnia oggi e vi ricordo che potete seguirlo sui social per restare sempre aggiornati e non perdervi neanche un aggiornamento.


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