LE RECENSIONI DI HALLOWEEN: LA GUERRA CIVILE
LE RECENSIONI DI HALLOWEEN
Marco Anneo Lucano, La guerra civile
A cura di Marco Rubboli
Il Salotto Letterario inaugura quest'anno una rassegna speciale dedicata alla settimana di Halloween, con proposte di lettura thriller/horror a cura di diversi autori e lit-blogger.
La proposta di oggi, a cura di Marco Rubboli, autore del romanzo "Per la corona d'acciaio", è "La guerra civile", classico latino di Marco Anneo Lucano.
“Cantiamo guerre più atroci di quelle civili, combattute sui campi d’Emazia, e il delitto divenuto legalità e un popolo potente che si è rivolto contro le sue stesse viscere con la destra vittoriosa e i contrapposti eserciti appartenenti allo stesso sangue e – infranto il patto della tirannia – tutte le energie del mondo sconvolto che lottano per un comune misfatto .”
A molti potrà sembrare strano inserire il poema di un antico autore latino in una rassegna di storie per Ognissanti o Halloween che dir si voglia, storie che sono quindi di genere horror o thriller, mentre Lucano parla di eventi storici: della guerra tra Cesare e le forze fedeli alla Repubblica che a lui si oppongono.
A prescindere dalla parziale veridicità delle vicende narrate, comunque “romanzate” e con ampie parti che sconfinano nettamente nel fantastico, “La Guerra Civile” di Lucano è in realtà uno dei primi testi autenticamente horror. In particolare Lucano oscilla fra lo splatter, in cui l’autore si crogiola senza esitazione e senza alcuna remora, e l’orrore metafisico in cui precorre Lovecraft di quasi un paio di millenni.
Lo stesso Cesare, come rappresentato dall’autore, altro non è che un monstrum, un inquietante prodigio di valore e arroganza, una disgrazia inarrestabile che si abbatte come un maglio su uno Stato impreparato a combatterlo e al tempo stesso non disposto a cedere alla sua tirannia. La sua forma umana è solo la maschera di una potenza oscura tesa alla distruzione della Roma repubblicana. Nulla possono contro di lui l’abilità di Pompeo, il valore di Catone, le popolazioni pronte a sacrificarsi nella lotta contro il tiranno come i greci di Marsiglia.
Nei combattimenti descritti non c’è ombra di gloria, non c’è spazio per l’eroismo né per l’epica ma solo per sangue, membra amputate e morte violenta: ogni volta che qualcuno tenta un’azione ardimentosa lo paga con la menomazione e la vita, nei modi più orrendi. Secondo la versione estrema del gusto “asiano” abbracciato da Lucano, la narrazione è piena di scene macabre dense di sangue, viscere e arti strappati.
Voglio dare qui qualche esempio, in primis alcune scene di combattimento decisamente splatter dall’assedio di Marsiglia, che viene condotto via terra e via mare dai cesariani. Si noterà come, coerentemente con la declinazione moderna del genere, le scene siano a volte tanto morbosamente crude, tanto esagerate da scadere nel grottesco e diventare quasi divertenti, sebbene in modo atroce.
Nei combattimenti di terra ogni masso lanciato dalle catapulte dei difensori “precipitando sfonda ogni cosa e non soltanto uccide e schiaccia i corpi, ma ne sparge le membra in brani sanguinolenti”. Nel frattempo in mare si svolge lo scontro navale: “Il sangue schiumeggia alto sui flutti e l’acqua si riempie di grumi sanguinolenti. Le navi… non possono unirsi a causa dei mucchi di cadaveri che vi si interpongono. Altri, mezzi morti, vanno a picco e bevono l’acqua del mare mescolata al proprio sangue… Cato… viene trafitto nello stesso momento alla schiena e al petto: i due dardi si urtano al centro del corpo ed il sangue non sa da quale ferita uscire, finché un abbondante fiotto non spinge fuori entrambe le aste… Mentre Giareo tenta di arrampicarsi sulla poppa alleata, viene colpito nei fianchi a mezz’aria e, trattenuto dal ferro, rimane, inchiodato allo scafo, a penzolare nel vuoto… uno dei due fratelli ebbe l’ardire di aggrapparsi con una mano, da una nave greca, a un’imbarcazione romana; essa gli venne però troncata da un pesante colpo: pur tuttavia, per lo sforzo che aveva compiuto egli per afferrarsi, la mano rimase attaccata e, morta, si irrigidì per i nervi contratti, senza lasciare la presa. Nella sventura si accrebbe il suo valore: pur con la mano mozzata si accese di nobile ira e riprese a combattere con la forte sinistra, protendendosi sul mare per afferrare la destra: ma anche l’altra gli venne troncata insieme con il braccio… Un arpione, mentre ghermiva con gli uncini spietati una nave, afferrò Licida, che sarebbe stato sommerso nel profondo se i compagni non l’avessero impedito, trattenendolo per le gambe. Egli, strappato, si lacerò in due parti, né il sangue sgorgò lento, come avviene per una ferita: infrante le vene, esso si riversò da ogni parte…” e qui il poeta si dilunga a descrivere come la parte inferiore del corpo diventi subito inanimata mentre quella superiore “là dove si gonfiano i polmoni e palpitano le viscere” tarda molto tempo a sprofondare nel sonno della morte. E si continua così, con corpi di soldati schiacciati fra i due rostri di navi avversarie che non riescono a impedire che il bronzo dell’uno tocchi il bronzo dell’altro ecc.
Un altro brano dove si scatenano i peggiori istinti splatter di Lucano è quello della lunga marcia attraverso il deserto libico dei soldati repubblicani di Catone: già mezzi morti per il sole, il calore e la disidratazione, essi vengono spesso morsi da ogni tipo di serpenti e rettili velenosi. Abbiamo soldati riarsi dalla sete indotta dal veleno, oltre a quella che già soffrivano nel deserto, che arrivano a squarciarsi le vene per bere il proprio sangue. Ci si dilunga sugli effetti dei vari veleni, come in questo brano:
“… la pelle tutt’intorno alla ferita si allontana rompendosi e mette allo scoperto le ossa bianche: l’infezione si estende ed il corpo è ormai un’unica, enorme ferita. Le membra sguazzano nella putredine: i polpacci si dissolvono, le ginocchia sono prive di rivestimento, tutti i muscoli dei femori si sciolgono e dall’inguine cola nero marciume. La pelle che circonda il ventre si rompe e ne fuoriescono le viscere… la persona si riduce rapidamente in una piccolissima quantità di putredine velenosa…”
Perfino la natura infatti, tutt’altro che benevola, ci riserva solo spettacoli spaventosi mentre l’unico principio che regna sovrano sugli eventi conduce il mondo verso la distruzione, il nulla e la morte.
E passiamo quindi ora all’aspetto più terrorizzante dell’opera di Lucano, quello che dà veramente i brividi: l’orrore metafisico, paragonabile a quello delle storie di Lovecraft. L’universo non è un kosmos segnato da leggi razionali a cui presiedono divinità benevole, o con cui almeno si possa scendere a patti, è invece un chaos percorso da forze malevole e indifferenti che tendono al dominio e alla distruzione, forze che non conosciamo e non possiamo fermare.
Eccovi quindi la descrizione di un bosco “sacro”:
“Lì non avevano sede i Pani… lì erano innalzati altari sinistri ed ogni albero era purificato con sangue umano… perfino gli uccelli avevano timore di fermarsi su quei rami e le belve di riposarsi in quelle tane; né il vento né i fulmini, sprigionatisi dalle fosche nubi, si abbattevano su quella selva: un brivido pervadeva ogni albero senza che soffiasse alcuna brezza tra le foglie… La stessa muffa e il pallore del legno putrescente provocavano terrore negli uomini sbigottiti… tanto lo spavento è ingigantito dal fatto di non conoscere gli dei di cui si deve aver timore.”
Il bosco verrà poi profanato per primo da Cesare stesso e poi abbattuto dai suoi legionari, più timorosi del condottiero che degli Dei stessi. Ma ciò può avvenire solo perché Cesare è anch’egli in realtà l’incarnazione di una forza violenta e inarrestabile, un agente del caos.
Ma veniamo infine alla parte del poema più empia, blasfema e famosa, quella in cui Sesto, l’indegno figlio di Pompeo, prima della battaglia decisiva decide di interrogare una grande strega. Sesto professa in segreto idee oscure: “egli conosceva invece orrendi rituali di magia, rifiutati dagli Dei stessi, e gli altari profanati da cerimonie spaventose: professando la sua fede nel mondo infernale, l’infelice era convinto che gli Dei sapessero ben poco…” Questo stregone maligno per conoscere in anticipo l’esito dello scontro si rivolge a una maga ancora più efferata e potente di lui: Eritto, signora delle streghe di Tessaglia. Lucano fin da subito ci spaventa proclamando che i canti osceni delle streghe possono costringere gli Dei stessi ad ascoltarle e piegarli al loro volere: esse possono arrestare il movimento del mondo e prolungare la notte a piacimento, influenzare la volontà degli uomini e far tuonare il cielo in barba a Giove, far gonfiare il mare, arrestare il corso dei fiumi, dare ordini alle belve selvagge, spegnere il sole, trascinare le stelle giù dal cielo e far bruciare la luna di nere fiamme. Perfino il Fato, che Virgilio pone come forza suprema al di sopra degli Dei olimpici, deve obbedire loro. Il poeta, sgomento, si chiede perché gli Dei obbediscano ai sortilegi di persone empie: se sia in forza di un antico patto, per costrizione o addirittura per paura. Eritto però ha mutato anche i costumi delle terribili streghe di Tessaglia, tacciandole di eccessiva pietà: “… abitava invece nelle tombe abbandonate ed occupava i sepolcri, dopo averne cacciato le ombre, grazie ai favori accordatile dalle divinità infernali… Una magrezza spaventosa dominava nel volto dell’empia e sul suo viso, circondato da chiome scarmigliate e che non aveva mai conosciuto il cielo sereno, gravava orribilmente un pallore infernale…”
Lucano ci descrive poi alcune delle “sane” abitudini di Eritto: “Ella seppellisce nei sepolcri anime ancora in vita e che ancora sostengono i corpi, mentre la morte è costretta a presentarsi per altri, cui il fato aveva assegnato anni di vita; sconvolgendo i riti funebri, fa tornare il corteo dal cimitero: i cadaveri si alzano dal letto funebre… incrudelisce avidamente su tutte le membra, immerge le mani nelle orbite e si inebria nel cavarne fuori gli occhi gelidi e rosicchia le pallide escrescenze delle mani rinsecchite… Le sue mani non rifuggono dall’uccidere… se i rituali esigono sangue appena sgorgato… Così pone sugli altari ardenti i feti, dopo averli strappati da una ferita inferta sul ventre… perfino, durante il funerale di un congiunto, la spietata strega tessalica si getta sulla cara salma e, imprimendovi baci, ne mutila la testa ed allarga con i denti la bocca irrigidita del cadavere, sì che, mordendo la parte anteriore della lingua che aderisce all’arido palato, infonde fra le labbra gelate un mormorio ed invia un empio messaggio alle ombre dello Stige.”
Servendosi dei cadaveri dei legionari caduti negli scontri del giorno precedente per i suoi orribili rituali, Eritto lancia un incantesimo per evocare lo spirito di un morto e fargli rivelare il futuro. Vi trascrivo qui una parte dell’invocazione iniziale. Vi consiglio di leggerla facendo molta attenzione alle implicazioni teologiche e cosmologiche:
“O Eumenidi…, o Caos, avido di sconvolgere mondi innumerevoli, o reggitore della terra, tormentato nei secoli dalla morte rimandata degli Dei, o Stige, o Campi Elisi… o Persefone che hai in odio il cielo e la madre, o ultimo aspetto della nostra Ecate, per mezzo della quale io posso comunicare tacitamente con i Mani, o custode della grande sede dell’oltretomba, che dai in pasto le nostre viscere al cane crudele…”
Se tutto ciò non vi fa rizzare i capelli sulla nuca, se anche il pensiero che la forza suprema del mondo non sia altro che il Caos distruttore e che gli Dei stessi non possano che rimandare la propria inevitabile morte, se tutto ciò non è abbastanza “horror” per voi, non saprei proprio in che altro modo spaventarvi.
Felice Halloween a tutti voi… finché siete in vita.
“Nessuna via di salvezza né possibilità di fuga
O di dar prova del proprio valore: a stento si può
Sperare in una morte dignitosa.”
Lucano
Marco Rubboli. Dal 1992, Marco Rubboli si dedica alle arti marziali storiche europee: scherma storica medievale e rinascimentale, pugilato, pancrazio, gladiatura. Istruttore al massimo livello con parecchi titoli agonistici, fra cui diverse medaglie d'oro e podi nazionali, ha fondato la più grande associazione europea di scherma storica, Sala d'Arme A. Marozzo. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni in materia: sulla scherma medievale “L'arte cavalleresca del combattimento di Filippo Vadi”, “Flos Duellatorum di Fiore dei Liberi” e “La lancia, la spada, la daga”, sulla scherma del Rinascimento “L'arte della spada di Anonimo Bolognese”, “Opera Nova di Antonio Manciolino”, “Monomachia di Francesco Altoni”, “L'arte perduta di combattere con lo scudo secondo la scuola italiana”, tutti per edizioni Il Cerchio, sulla scherma di coltello in Spagna nell’Ottocento “Manuale del baratero” edizioni Planetario, oltre a diversi articoli in raccolte e atti di convegni sulla scherma storica. In ambito letterario ha pubblicato per Watson Edizioni il romanzo fantasy “Per la Corona d'Acciaio” di cui nel 2020 è in programma il seguito “Contro Due Imperi” e per Delos Digital - Heroic Fantasy Italia “Ombre sulla Dacia”. Ha pubblicato racconti per Watson (“La gatta” in Horror Storytelling 4), per edizioni Sensoinverso due racconti per le antologie del concorso Lucenera (“Luce di tenebra” in “I mostri non mangiano seitan”, “La cassa”, nell'antologia omonima) e tre per il concorso “Oceano di carta” (“La via degli anni oscuri” in “Come Marylin Monroe”, “Oltre le nuvole” in “Precipitare in libertà” e “Non è mai vissuto” in “Phantom Punch”), su Book Magazine di maggio-giugno 2019 il racconto “Il pagliaccio”, sul sito Ignoranza Eroica “Caccia al maestro d’armi” e diversi racconti su Hyperborea di Italian Sword & Sorcery. Altri racconti sono in uscita in antologie per Watson, Plesio e Mezzelane.
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