BESTIE D'ITALIA: INTERVISTA ALL'AUTORE MARCO BERTOLI

BESTIE D'ITALIA
INTERVISTA ALL'AUTORE MARCO BERTOLI
"LUPOMANAIO"

"Bestie d'Italia" è l'antologia edita da NPS Edizioni incentrata sulle leggende delle varie regioni d'Italia e sul "recupero delle tradizioni folcloristiche italiane, per raccontarle a chi non le conosce, per guardare con occhi diversi il nostro territorio, pregno di storia, misteri e magia". Oggi il Salotto inaugura le interviste agli autori dell'antologia, in compagnia di Marco Bertoli e del suo racconto "Lupomanaio". 



Ciao Marco e benvenuto nel mio Salotto. Raccontaci qualcosa di te. 
Anzitutto un “Ciao” a tutte e tutti. Sono un geologo sessantaquattrenne, bresciano per caso e pisano d’adozione che pronuncia la consonante “esse” alla romagnola. Per caso perché i miei genitori lunigianesi si erano trasferiti a Brescia per lavoro. D’adozione poiché venni a Pisa per frequentare l’Università e non sono più andato via. L’inflessione non toscana, infine, deriva dal decennio che ho trascorso in una Cesena solatia che tuttora porto nel cuore. Sono sposato con Anna, anche lei geologa, da trentanove anni, ho due figlie, Debora, la maggiore, e Serena, e una nipotina, Isabella. 
Lavoro con l’incarico di Tecnico di Laboratorio presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università, occupandomi di analisi chimiche di rocce e di acque. Nel tempo libero mi divido fra lettura, wargame da tavolo, videogiochi RPG (in coppia con la consorte!) e scrittura. 
Nel novembre 2018 ho avuto un infarto da cui bravi cardiologi mi hanno salvato per un pelo. Da quel giorno la mia visione dell’esistenza ha subito un cambiamento, magari non radicale, ma di sicuro importante. Stabilito un nuovo ordine di priorità, oggi vivo ogni giornata senza proiettarmi in un futuro che potrebbe non appartenermi. 

Come si intitola il tuo racconto nell’antologia “Bestie d’Italia” e di cosa parla? 
Il racconto s’intitola “Lüpomanáio” e parla di una maledizione che uno shamano dell’età del rame ha lanciato contro il proprio assassino e i suoi discendenti, condannandoli a trasformarsi in lupi mannari. Non convenzionali perché, oltre all’argento, hanno paura delle altezze. 
La storia è ambientata nei dintorni di Pontremoli, cittadina della Lunigiana, all’epoca dell’assedio posto dall’imperatore Federico Barbarossa per punire gli abitanti del loro tradimento. 

Come mai hai deciso di scegliere la Toscana? 
Perché le mie radici sono abbarbicate alla Lunigiana. Mio padre era di Pontremoli e rammento ancora con piacere i brividi di paura che provavo da bambino quando mi raccontava la leggenda. Mia madre era originaria di Villafranca e da parte sua discendo dai marchesi Malaspina, signori di quelle terre. 

Quali sono le origini della leggenda che hai deciso di trattare nel tuo racconto? 
Nonostante la storia millenaria di Pontremoli, la leggenda del Lupo mannaro è recente perché comincia a circolare ai primi del 1800. Secondo il mito, durante le notti di luna piena, nei vicoli angusti – i “sorchetti” – ai piedi del castello echeggiano i richiami di una creatura mostruosa. 
Il poeta Luigi Poletti la descrive nella sua poesia “Al Lupomanaio” come “mès omon, mès can”, cioè mezzo uomo e mezzo cane. Un essere che ulula come un lupo e piange come un cristiano. Guai a guardarlo negli occhi gialli che lampeggiano di ferocia perché si morirebbe all’istante di terrore. Più forte di Sansone, più rabbioso di una tigre e nervoso di un leone, invulnerabile persino alle armi da fuoco, il licantropo ha una debolezza che solo un genio poteva attribuirgli nell’immaginarlo: “trei scalin soli lü il poss montèr sü”, non può salire più di tre scalini. 

Progetti per il futuro? 
Ho appena finito di scrivere un romanzo Young Adult distopico. Al momento mi dedico sia a produrre racconti, perché sono il genere di componimento che mi è più congeniale, sia alla revisione di un giallo storico ambientato durante la Prima Guerra Mondiale.



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