LA PIOGGIA RICORDA


LA PIOGGIA RICORDA
Caterina Franciosi, La pioggia ricorda, Delos Digital
Collana Delos Passport a cura di Fabio Novel



Portland, 1962. New Orleans, 2011. Una nonna, una nipote. Un racconto di affetti e drammi familiari, di tradimento e speranza, di amore, ma soprattutto di resilienza femminile. Due storie che diventano una. E che la pioggia segna e ricorda. 

New Orleans, 2011. A distanza di sei anni, le ferite lasciate dal tremendo uragano Katrina non sono ancora rimarginate. Del resto, con più di 1800 vittime, un segno nelle menti e nei cuori degli abitanti non può che essere rimasto. In qualcuno, in modo più profondo. È il caso della ventunenne Melanie, che psicologicamente, nonostante le terapie, non ha ancora del tutto superato il trauma della perdita di entrambi i genitori. Melanie vive con la nonna Eveline, che la ama profondamente. Anche Eveline porta dentro un dramma personale, legato al decesso in giovane età del marito George. Una morte che l’aveva portata, ragazza madre, a trasferirsi dal Maine alla Lousiana. Un fatto di cui Eveline non ha mai parlato volentieri, perché nel passato è sepolto il dramma della violenza familiare. Ed è il futuro, ciò che conta. E il futuro è Eveline. 

ESTRATTO DA "LA PIOGGIA RICORDA"

New Orleans, settembre 2011 

Lee era arrivato. 
Come comunicato da preoccupati meteorologi. E come preannunciato dalle contorsioni oscure, enfiate, percorse da riflessi violacei, che nel tardo pomeriggio si erano profilate all’orizzonte, per poi approssimarsi alla città, stringerla in una morsa d’ansietà. Un timore profondo, instillato dalla vera paura, sei anni prima. 
Nella notte, la pioggia aveva iniziato a scrosciare sui tetti delle case. Trascinata dal vento, aveva flagellato il Garden District. 
I giardini si erano trasformati in tante piccole risaie in miniatura. In certi punti, i vialetti di ingresso erano stati sommersi da una coltre di acqua e fango, costringendo i proprietari ad alzarsi prima del solito, per creare pedane improvvisate per poter entrare e uscire da casa senza affondare fino alla caviglia. 
Alla radio e alla TV, le notizie del mattino erano buone: il peggio era già passato; danni c’erano stati in alcuni settori, ma nulla di eclatante. Alcune migliaia di persone senza elettricità per qualche ora, qualche allagamento. Tutti avevano tirato un sospiro di sollievo. 
Lee si era limitato ad essere solo una boriosa tempesta tropicale. Un bizzoso bastardo, incline alla sfuriata, ma non realmente violento. 
Non come Katrina. 
Quello: era stato un Demonio. 
Un frammento di apocalisse che aveva segnato New Orleans nel suo corpo. E nelle sue anime. 
Che aveva fatto più di milleottocento vittime. 
Katrina. 
Un fottuto uragano di livello 5. 

Melanie si svegliò di malumore, poco dopo le prime luci dell’alba. 
Lee aveva disturbato il suo sonno, ma stranamente ciò che l’aveva destata era stata la quiete dopo la tempesta. Quelle ultime gocce di pioggia, tarde e discontinue, ma grosse e pesanti come biglie, che avevano rimbombato proprio sulla sua testa, sulle travi della sua camera da letto all’ultimo piano della villa della nonna nel Garden District. 
Ploc… Ploc…Ploc… 
Melanie aprì gli occhi nella penombra, senza capire subito dove si trovasse né cosa fosse quel rumore. Dopo qualche secondo, tese una mano verso la sveglia sul comodino e imprecò a mezza voce. 
I numeri cinque e cinquantacinque lampeggiavano beffardi sul display. 
Le ci volevano solamente trenta minuti a raggiungere in auto il negozio di abbigliamento in centro città dove lavorava, ma con quel martellare irritante avrebbe faticato a riaddormentarsi, lo sapeva. Emettendo una specie di grugnito sconsolato, si tirò il cuscino sopra la testa, ma la situazione non migliorò. Rinunciando all’illusione di poter riconquistare ancora qualche decina di minuti di sonno, scalciò via le lenzuola e si mise a sedere sul letto. 
Melanie era in un bagno di sudore. Pareva che la pioggia non avesse abbassato le temperature, piuttosto aumentato il tasso di umidità, almeno in casa. Si passò una mano tra i capelli, cercando di domare la riccia chioma corvina con le dita, ma lo specchio nell’anta dell’armadio situato di fronte al suo letto le rimandò l’immagine di una Medusa assonnata. 
In camicia da notte, si alzò e a piedi scalzi si diresse verso la finestra. Andò ad accoccolarsi nello spazio offerto dal piccolo bow window. I vetri erano socchiusi, ma la zanzariera era stata abbassata. Non ci aveva fatto caso la sera prima quando era rientrata ed era salita di sopra a dormire. Doveva essere stata Molly, la governante della nonna che si occupava di quella casa da quando lei era arrivata lì, decenni prima. Una vera istituzione. 
Da quando Melanie si era trasferita a casa della nonna, Molly si occupava come una chioccia anche di lei. 
Raccolse le ginocchia al petto e le abbracciò. 
L’acqua si raccoglieva nell’incavo dei petali delle bouganvillee rosa e viola che crescevano tutto intorno al cancello del giardino, creando una meravigliosa siepe colorata che nascondeva solo in parte la quercia centenaria piantata al centro del prato. Era già lì quando la nonna aveva acquistato la casa, verso l’inizio degli anni settanta, e già all’epoca nessuno sapeva quanti anni avesse. L’attenzione di Melanie fu catturata dalla piscina. Le gocce di pioggia creavano giochi di cerchi concentrici che si rompevano uno sull’altro e creavano morbide increspature sulla superficie dell’acqua. 
Sarebbe rimasta a fissarli per sempre, rapita dalla serenità che gli elementi della natura riuscivano a creare. 
Poi, ripensò anche ai suoi genitori. E, per l’ennesima volta, non riuscì a capacitarsi di quanto gli esseri viventi fossero impotenti contro la natura quando essa decideva di esercitare la sua forza distruttiva.

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