INTERVISTA ALL'AUTRICE DILETTA VIGNATI

INTERVISTA ALL'AUTRICE DILETTA VIGNATI
Bentornati alle interviste del giovedì de Il Salotto Letterario e de Il Salotto Creativo del gruppo Facebook MyMee-Express Yourself. Oggi siamo in compagnia di Diletta Vignati, che ci parlerà un po' di sé e della sua opera, il romanzo L'insonne, edito da MontaG. 
Accomodiamoci e lasciamo a lei la parola...


“L’unico da cui non sono mai riuscita a farmi ubbidire è il mio corpo. Ha sempre fatto di testa sua, senza darmi retta. Senza prendersi il disturbo di ascoltare il mio parere” 

Ciao Diletta, benvenuta nel mio salotto. Raccontaci qualcosa di te. 
Grazie per avermi accolta in questo tuo accogliente salotto! Cosa raccontarti di me? Ho ventisette anni, vivo in provincia di Milano ma da lunedì a venerdì la città mi adotta per gli studi e il lavoro. Oltre che le parole, mi appassionano il Medio Oriente e i colori vivaci. 

Come ti sei avvicinata alla scrittura? 
Più che essermici avvicinata, direi che sono finita a sbatterci contro! Ho iniziato a scrivere piuttosto presto, anche grazie a una mia maestra delle scuole elementari che per fortuna ben tollerava i salti al di fuori della realtà! Ho continuato – e continuo – a scrivere per mettere chiarezza, innanzitutto di fronte a me stessa, e per evitare di rendermi troppo fraintendibile agli altri. A voce mi confondo, la scrittura invece mi aiuta a mettere le idee (letteralmente!) nero su bianco. 

Qual è il tuo genere preferito? 
Più che un genere, c’è uno stile che preferisco. È lo stile che intrattiene e intanto informa il lettore, lo diverte mentre gli fa esplorare qualcosa che gli era fino a quel momento rimasto offuscato nella nebbia. Mi pare tra l’altro evidente che per essere utile l’informazione non debba necessariamente riguardare qualcosa di materialmente esistente: un romanzo come Il Signore degli Anelli, per esempio, secondo me ha una grande potenza informativa! 

Parliamo un po’ del tuo libro. Come è nato? Di cosa parla? 



L’insonne è nato nelle ore di matematica in quinta liceo, quando ero in cerca di un modo alternativo per giocare! E poi è nato un po’ anche per colpa di chi mi ha fatto credere che potessi combinare qualcosa tenendo una penna tra le mani, come mia cugina Gaia e i miei amici di sempre. Avevo immaginato una trama, che però era troppo lunga e complessa e ha dovuto attendere sette anni prima di prendere forma. Alla fine ho partecipato a un concorso letterario gratuito bandito dalla casa editrice MontaG per festeggiare la mia laurea, e ne è venuto fuori questo romanzo. 
Parla di una donna, Stefania Borghi, e della sua ossessione per Milano. Parla di un medico la cui cura è più infetta della malattia che combatte. Parla di un giornalista che resta ancora capace di sperare in una buona notizia. Parla di una gatta che ti si addormenta nella testa e ti scompiglia quello che ci sta dentro. Parla di Milano, una città che si fa portare al collo come un ciondolo elegante e non tace mai. 
Il tutto è raccontato da tre personaggi che si strappano di mano il testimone tra un capitolo e l'altro, modificando anche radicalmente il punto di vista. Nessuno di loro è sincero, ma forse non se ne sono accorti. 

C’è un tema nella tua opera che è particolarmente significativo per te? 
Il rischio di soffrire di più solitudine di quanta ce ne sia. Il tema è che i personaggi di questo romanzo si condannano a soffrire di una solitudine che potrebbero risparmiarsi. Si danno per scontati fino a smettere di vedersi, come se si parlassero addosso l’uno all’altro continuando a urlarsi contro che c’è un silenzio insopportabile. Se sapessero tacere un istante, si guardassero in faccia e si vedessero, sarebbe tutto più facile. Ma a volte smettere di farsi del male è impresa degna di un supereroe. 
Non è solo fantasia, purtroppo: conosco persone che sono infelici solo perché convinte di doverlo essere per forza, persone sconfitte perché non si accorgono di quante volte hanno già vinto. 
Anche il tema della malattia mi sta a cuore, ma è un discorso delicato e per questo preferisco che siano Stefania e gli altri a parlarne. 

Da dove prendi ispirazione per scrivere? 
Da quel che c’è intorno e dentro di me. Mi diverto a rubare i personaggi scucendoli e ricucendoli dalle persone che mi vivono addosso, nel senso che traggo da loro la vita che ho. Sono persone, familiari e amici, talmente presenti a me che non sono riuscita a tenerle fuori neppure dalla mia fantasia. Ma le ho mascherate, per lo più abbruttendole: anche se non avessi voluto abbruttirle apposta, come invece ho voluto, non sarei riuscita a rendere su carta tutta la luce che hanno dal vivo! Mi sembra incredibile come in questo libro spuntino fuori anche stelle umane che mentre scrivevo iniziavano appena a brillare (penso ai miei nipoti, carichi di primaverile felicità!) o non erano ancora comparse a inondare di luce il mio orizzonte (ti aspettavo, P!). 
Le situazioni narrate invece traggono ispirazione soprattutto dalle mie paure più profonde: ho voluto che fossero i personaggi a incagliarcisi e a farsi male al posto mio. 

Ogni scrittore inserisce inevitabilmente una parte di se stesso nelle sue opere. C’è un personaggio in particolare che senti più vicino di altri? 
Forse Stefania Borghi, perché commette errori che rischio di commettere anch’io: pretende troppo da se stessa, non tollera la tenerezza dei propri limiti e guarda al suo corpo come a un estraneo parassitario e ostile. 

Potresti raccontarci la tua esperienza con la casa editrice con la quale hai pubblicato? 
La casa che mi ha ospitata è la MontaG di Alberto Cola. Ci siamo incontrati grazie al concorso, che è una splendida testimonianza di fiducia e gliene sono grata! MontaG è un piccolo editore indipendente: si arrabatta con pochi strumenti, ma è tenace e onesto. La mia opinione è che si potrebbe investire meglio nella pubblicità, non tanto con il denaro ma mettendo a frutto la rete di contatti che la casa editrice ha saputo costruire attorno a sé nel tempo. Però va ribadito che quello dell’editore è un mestiere difficile e ingrato: sono necessari competenza, fiuto e versatilità; abilità che ad Alberto Cola non mancano. Spesso il lavoro dell’editore si scontra con l’arroganza di tanti autori e con un mercato del libro che in Italia – ma non solo da noi – pare figlio di un dio minore e antipatico. 

Hai partecipato a qualche evento per promuovere il tuo romanzo?


L’evento per me più gratificante è stato la presentazione del romanzo presso la scuola per adulti di recente immigrazione dove ho insegnato, a Milano. Di fronte a uomini e donne provenienti da ogni angolo del mondo, alle prese con le sfide dell’integrazione, e ai miei colleghi che ogni giorno si sforzano di trovare con loro un dialogo che abbatta i troppi muri che ancora si alzano da ogni parte. Portare L’Insonne in quella scuola è portare le mie parole a chi, anche se annaspa con la nostra lingua, ha moltissimo da dire e si esprime perfettamente in una lingua che è muta e universale. Un’altra presentazione che mi sta a cuore è stata in un ospedale di Milano con i pazienti, i loro familiari e i medici che se ne prendono cura. 

Hai qualche consiglio da dare a un aspirante scrittore alle prese con la sua prima opera? 
Hai un consiglio da dare a me?! Ho bisogno di consigli più di quanto possa darne, ma quello che mi viene in mente è di considerare la scrittura come una via di mezzo tra un lavoro (non l’unico lavoro, e nemmeno il principale) e un hobby. Mi sembra il modo più efficace per evitare di prendersi troppo sul serio, ma anche per non perdere il gusto di sfidare se stessi. C’è anche un consiglio ovvio, che non è necessario ribadire: leggere, tanto e di più. Leggere instaurando un’energica chiacchierata con gli autori (Stefano Benni e Daniel Pennac si prestano particolarmente!): continuare e/o modificare le trame dei loro romanzi, discutere le scelte stilistiche, immaginare quali intoppi possono aver affrontato ecc. Vale la pena fare questo esercizio, che tra l’altro regala un divertimento selvaggio! È importante anche ritagliarsi del tempo per discutere con i propri personaggi, lasciarsi mettere alle strette da loro e garantire almeno al protagonista una vita totale e indipendente, di cui quella narrata nel romanzo sia soltanto una parte. Nella mia vita reale sarei prudente a riguardo, ma mentre scrivo avere una personalità multipla è utile! E, posando poi la penna, è bello scoprire che questo esercizio ha allargato i miei orizzonti mostrandomi, come per Stefania alla fine del romanzo, che ho accanto più bellezza di quanta ne vedessi prima! 

Ringrazio Diletta per essere stata in nostra compagnia oggi e vi ricordo che potete seguirla su Instagram per restare sempre aggiornati su di lei e sui suoi progetti. 


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