LE RECENSIONI DEL SALOTTO: CUORI VUOTI

LE RECENSIONI DEL SALOTTO
Juli Zeh, Cuori vuoti, Fazi Editore

Recensione a cura di Michele Gonnella


L'AUTRICE
Nata nel 1974, vive e lavora come scrittrice e avvocato a Lipsia. Autrice pluripremiata e tradotta in 35 lingue, ha scritto una decina di romanzi. Fazi Editore ha pubblicato "Turbine" nel 2018 e "L'anno nuovo" nel 2019.

LA TRAMA
Germania, 2025: un futuro prossimo ancora più incerto del presente. In un’epoca post Trump, Brexit e Frexit, il paese è sconvolto da una crisi finanziaria globale, da migrazioni di massa e dal trionfo di un movimento ultrapopulista che è salito al governo. Disillusi e pragmatici, Britta e il socio Babak si sono affermati con successo: insieme hanno fondato uno studio di counseling alternativo, il Ponte, che li ha resi ricchi. Fortunatamente, nessuno sa bene cosa ci sia sotto: dietro un’apparente normalità, Britta e Babak tentano di intercettare soggetti inclini al suicidio grazie a un algoritmo e, ai più determinati, offrono la possibilità di morire per una giusta causa con azioni eclatanti ma programmate in modo quasi chirurgico. Le cose vanno a gonfie vele – fra i clienti del Ponte c’è anche l’ISIS – e Britta si pregia del fatto che, grazie al suo studio, ha messo fine all’anarchia terroristica. Fino a un misterioso attentato all’aeroporto di Lipsia: quando il Ponte intravede la minaccia di una concorrenza pericolosa, Britta fa tutto il possibile per eliminare gli sconosciuti avversari. Ma li ha sottovalutati.
Feroce romanzo distopico e al tempo stesso avvincente thriller politico, Cuori vuoti esamina questioni urgenti dipingendo lo scenario inquietante di una società totalmente votata all’efficienza e in cui l’empatia non è contemplata: Juli Zeh conferma il suo talento nello sviluppare grandi temi di attualità in una narrazione che lascia ampio spazio all’approfondimento psicologico senza mai perdere il suo ritmo serrato.

LA RECENSIONE
«È strano, no?», la voce di Janina ha un che d’indolente. «Più la gente sta male, meglio è per voi».
Un bambino grassottello è spuntato dal nulla e gironzola intorno al cantiere delle bambine. Britta è troppo lontana per sentire di cosa parlano, ma è chiaro che Vera e Cora non vogliono che il cicciottello giochi con loro.
Janina si alza sui gomiti. «Hai una qualche spiegazione? Per l’aumento dei suicidi?».
In verità si potrebbero tappezzare intere pareti con le tesi sul fenomeno dei suicidi. Paura del futuro. Burnout. Fine della separazione dei ruoli. Seconda crisi finanziaria. Disgregazione dell’Europa. Indifferenza nei confronti delle classi più deboli. Maggiore discriminazione verso gli emarginati. Cattiva alimentazione. Solitudine. Scarso movimento. Decadenza. Senso di colpa. Il fallimento dei genitori degli anni Novanta nell’educare i figli.
«Credo che dentro di noi, in fondo, ci sia un vuoto», risponde Britta.

Il libro si apre con una presentazione d’effetto: ci descrive il distopico in cui ci ritroviamo presentandoci due coppie completamente psicotiche. Da un lato c’è la famiglia della protagonista, uomo e donna intraprendenti e in carriera con un approccio al limite dell’isterico che guardano, dall’alto, gli amici di una vita che tentano di sopravvivere campando delle loro passioni. L’isteria domina queste famiglie così come ha la meglio sul mondo: non si vive una distopia fantascientifica, ma una vera, reale, dove non si capisce bene se valga di più una persona o la sua voglia di suicidarsi. La prosa è schietta, diretta, priva di fronzoli che altrimenti obnubilerebbero questo sentimento tagliente che prova Britta, la protagonista che usa la mania del controllo per nascondere a sé stessa le sue angosce. Da prestare attenzione alla costruzione dell’ambientazione, che si trova in un futuro non troppo lontano né nel tempo né – poveri a noi – nell’assetto attuale del mondo. Perché non c’è peggior distopico di quello più plausibile, non è vero?

Questo thriller, senza bisogno di sensazionalismi o estremizzazioni, riesce a proiettarci in quello che potrebbe essere un futuro possibile, dove persino lo sport diventa uno strumento per controllare le masse e dove, nonostante non manchino i beni primari, si rischia di tornare in uno stato d’essere in cui l’empatia diventa un ostacolo così come lo è per il leone quando caccia. Uno dei pochi libri, lo ammetto, che è riuscito a gelarmi il sangue senza bisogno di impiegare cose astruse o atroci.


Michele Gonnella, labrolucchese classe '88, vive una vita dedicata a quattro attività fondamentali: arti marziali, tè, libri, sopravvivere a sé stesso, il tutto sotto gli insegnamenti dei felini con cui condivide l'esistenza. Di fatto, è il bohémien più zen e monastico che si possa trovare. Egli non ci combina nulla col mondo della letteratura, tant'è che è perito informatico, ma forse proprio per questo si diverte a rompere tutti i canoni letterari da che ha impugnato la penna. Già di suo infatti era un bel casinista, tra romanzi e saggi al di fuori dei generi. Quando poi si è ritrovato a essere uno dei fondatori di Ignoranza Eroica apriti cielo...


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