LE MINI RECENSIONI DEL SALOTTO: I TESTAMENTI

LE MINI RECENSIONI DEL SALOTTO

Margaret Atwood, I Testamenti, Ponte Alle Grazie


«Il nostro tempo insieme sta per cominciare, mio lettore. Può darsi che vedrai queste pagine come un fragile scrigno da aprire con la massima cura. Può darsi che le strapperai o le brucerai: con le parole accade spesso». Hai fra le mani un'arma pericolosa, caricata con i segreti di tre donne di Gilead. Stanno rischiando la vita per te. Per tutti noi. Prima di entrare nel loro mondo, forse vorrai armarti anche di questi pensieri: «La conoscenza è potere». «La Storia non si ripete, ma fa rima con sé stessa».

Dopo Il racconto dell'ancella, dopo quasi 35 anni, Margaret Atwood ci riporta nella Repubblica di Gilead, questa volta attraverso le voci di tre donne di diversa estrazione sociale: quella della fredda e crudele Zia Lydia del primo volume; quella di Agnes, una ragazzina cresciuta secondo i dettami del regime e - ultima ma non in ordine di importanza - quella di Daisy, una ragazzina del Canada libero ma che sarà suo malgrado costretta ad entrare in contatto con la dittatura di Gilead. Ognuna di loro, attraverso i propri occhi, permetterà al lettore di far luce su diversi aspetti della società di Gilead, aspetti che Offred de Il racconto dell'ancella non aveva potuto approfondire.  
Ritroviamo così le atmosfere cupe e disturbanti della società descritta da Margaret Atwood, il suo tono sempre molto pacato ma allo stesso tempo tagliente, a volte terrificante. L'inesistente ruolo sociale della donna, repressione, oppressione, propaganda e ribellione sono solo alcune delle tematiche del romanzo, tematiche deformate e portate all'estremo ma vicine alla nostra realtà più di quanto possiamo immaginare. Del resto, integralismo e fanatismi di ogni genere hanno da sempre fatto parte della storia dell'umanità e forse è proprio questo l'aspetto più spaventoso del romanzo di Margaret Atwood. L'ascesa della Repubblica di Gilead ha qualcosa di familiare, le sue fondamenta si basano infatti su aspetti fin troppo noti: crisi finanziaria dilagante, perdita di valori sociali e morali, innalzamento del tasso di criminalità e abbassamento di quello di natalità. E l'elenco potrebbe ovviamente continuare, eppure già solo queste premesse sono più che sufficienti per dare origine a un futuro sì distopico ma tristemente attuale.

Lo status sociale delle donne del romanzo meriterebbe una parentesi a parte per essere debitamente approfondito, ma vorrei comunque soffermarmi su una affermazione in particolare: «La conoscenza è potere». Anche ne I Testamenti, così come ne Il racconto dell'ancella, le donne non sanno leggere né scrivere. A malapena possono avvicinarsi a penne e matite. La parola scritta è pericolosa, può indurle in pensieri non adatti a ciò che ci si aspetta da una buona e onesta cittadina di Gilead, ma soprattutto può indurre in errori che potrebbero portarle alla ribellione. Per questo motivo, la conoscenza è a solo appannaggio degli uomini, saldi e forti, e delle Zie, portatrici di morigeratezza e ortodossia.

Certamente I Testamenti è figlio della popolarità recentemente ottenuta dalla serie TV The handmaid's tale, ma non per questo non è degno erede del primo volume di Margaret Atwood. Ovvio che questa volta il lettore sa già cosa aspettarsi e l'effetto a sorpresa che caratterizzava Il racconto dell'ancella viene a mancare, ma lo stile dell'autrice è sempre impeccabile e affascinante e la storia - narrata attraverso i tre ipotetici ritrovamenti scritti di Zia Lydia, Agnes e Daisy - è così dolorosa da togliere a tratti il fiato. Come Il racconto dell'ancella, anche I Testamenti è un libro che non si abbandona e non si dimentica facilmente e le cui parole continuano a risuonare nella nostra mente, quasi si fossero trasformate in un monito.   

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