IL SALOTTO PRESENTA: L'AGO DI CIBELE

IL SALOTTO PRESENTA
Simone Fiocco, L'ago di Cibele, Bakemono Lab


L'AUTORE
Simone Fiocco nasce a Roma il 1983 e fin da bambino la scrittura è stata un richiamo forte per lui. Appassionato di letteratura fantasy e horror, ma anche di fumetti e giochi di ruolo, dopo un travagliato percorso universitario alla facoltà di Filosofia comincia a seguire diversi corsi di scrittura e a collaborare con alcune riviste online. Oggi scrive a tempo pieno, continuando a studiare la scrittura in ogni sua sfaccettatura.
Ha pubblicato il romanzo “L’ago di Cibele” con l’editore Bakemono Lab e il racconto "Il cravattino" all'interno dell'antologia "La cattiva strada" per l'editore Filigrana.
Potete contattarlo dal suo sito web.

LA TRAMA
Roma, 2018. La città è battuta da un violento temporale primaverile. Gabriele, giornalista ed ex alcolizzato, torna a casa dopo una serata di svago. Laura, la sua compagna, non c’è. Non tornerà quella notte. Né quella successiva. La donna è sparita senza portare con sé le sue medicine. L’uomo teme subito il peggio e inizia una personale indagine, scavando nella vita della fidanzata alla ricerca di un dettaglio che possa indirizzarlo sulla giusta pista. Troverà invece Francesco, un investigatore privato dall’animo dannato, dedito ai vizi ma con un grande intuito. Insieme affonderanno in una storia torbida come le acque del fiume Almone, che nelle notti senza luna custodisce antichi segreti nel Parco della Caffarella. Dopo secoli di silenzio e oblio Gabriele e Francesco scoprono che qualcuno ha ripreso a versare sangue nelle acque del fiume e che gli antichi riti pagani non sono mai morti davvero. Trovare Laura diventa una corsa contro il tempo, ma c’è anche un altro problema: l’ago di Cibele non deve cadere nelle mani sbagliate.


ESTRATTO

Il pub Malanotte sussultava con la partita della Roma in diretta sul maxi schermo. I tifosi, con lo sguardo incollato al televisore, speravano in una rete dell’ultimo momento: c’era chi gesticolava contro il giocatore colpevole di aver sbagliato un tiro, chi imprecava trangugiando l’ennesima birra e chi appallottolava ricevute di giocate andate in fumo. Pensionati di settanta anni si mescolavano a liceali di primo pelo creando una strana amalgama, tutti con il naso all’insù ad aspettare che la rete si gonfiasse. Così non fu. La Roma aveva perso e la frustrazione dei tifosi si riversò sul bancone. Un’orda di zombie con le braccia tese verso un bicchiere. I più anziani pagarono il conto e si trascinarono lungo le vie dell’Appio Latino mentre i giovani discutevano animatamente come dei consumati allenatori. Era un quartiere dove la fede calcistica si impregnava nel tessuto urbano: dalle finestre sventolavano lacere bandiere delle squadre della capitale, vere e proprie reliquie tramandate di generazione in generazione; i muri erano imbrattati con scritte come c’è solo un capitano e al mercato rionale ci si punzecchiava sulla classifica del campionato.
Quella sera Gabriele se ne stava rannicchiato su uno sgabello a osservare gli abitatori del pub: non così vecchio da rincasare subito ma neppure così giovane per mischiarsi con le nuove generazioni. Sorseggiava la sua acqua tonica allo zenzero e frutti rossi, chiacchierando di tanto in tanto con Michelone, il proprietario del locale che stava piegato sul bancone in una scomoda posa per non coprire la selezione di liquori dietro di lui con la sua mole.
«Stasera abbiamo perso proprio male» disse Michelone mentre controllava che tutti pagassero il conto prima di dileguarsi.
«Ormai il campionato è finito da un bel po'» disse Gabriele.
«Sarà pure finito ma non c’è più il rispetto per la maglia» disse l’oste. Lanciò un canovaccio lurido a terra e sfogò la sua frustrazione su alcune noccioline. «Piuttosto, come va il lavoro?»
«Mah, diciamo che il settore della cronaca difficilmente va in crisi.»
«Come fai a occuparti di quella roba.»
«Di qualcosa devo pur campare.»
«Anche tu hai ragione» annuì Michelone. Si versò un bicchierino di gin e domandò «Sempre astemio?»
«Sempre astemio.»
«Con Laura invece?»
«È un interrogatorio?»
«Così male?»
Gabriele bevve l’ultimo goccio di acqua tonica, stropicciò la cannuccia e rispose: «Alti e bassi comunque, come in tutti i rapporti.»
Michelone accennò un sorriso poco convinto. «Conosco quello sguardo. È lo stesso di uno che lascia una pinta sul bancone per andare in bagno e quando torna non la ritrova.»
«Sembro messo così male?»
«A forza di stare qui dietro uno impara a decifrare certe cose» disse lasciando Gabriele ai suoi pensieri. Scivolò nel magazzino, si caricò un fusto da trenta litri sulle spalle e lo attaccò alla spina osservando soddisfatto che ogni tavolo aveva la sua pinta.
Fuori picchiava un temporale di quelli primaverili: improvvisi e impertinenti.
Via Latina era un fiume che trasportava foglie e immondizia straripante dai cassonetti rovinati a terra. Gabriele infilò la giacca, salutò l’oste e uscì da quel piccolo universo aprendo un ombrello sbilenco che lo riparava a malapena. Attraversò la strada e percorse i pochi metri che lo separavano dal suo appartamento e, sull’uscio, sentì Kraken grattare sulla porta. A suo tempo gli era sembrata una buona idea chiamare il gatto nero come il rum che preferiva, tanto più che si trattava di un rum scuro, ma ora che si era scoperto alcolista, coglieva l’ironia di quella scelta. Accese le luci e accarezzò il grosso felino di sei chili che stiracchiandosi reclamava la cena con la coda dritta e supplicanti miagolii.
Laura ancora non era tornata.
Posò giacca e ombrello nella doccia e notò con rassegnazione che ancora una volta lo scarico era intasato dai lunghi e biondi capelli della fidanzata: aveva perso il conto delle litigate per quella brutta abitudine, alla fine si era rassegnato e aveva lasciato che quel vizio rientrasse tra le molte cose che non poteva controllare. Asciugò i ciuffi castani, servì la scatoletta di tonno al gatto e si stravaccò sul divano a guardare la televisione passando da un programma di cucina a un dibattito politico, da una televendita di coltelli a una replica di MacGyver: pensò che sarebbe stato bello poter risolvere tutti i problemi con forcine da capelli e nastro adesivo.
Erano ormai le due di notte e la pioggia precipitava implacabile. Si trascinò assonnato in camera da letto e, indossato il suo pigiama a tinta unica, vide il flacone di medicine sul comodino. Non era poi così strano che Laura tornasse tardi ma che non portasse con sé le sue pasticche, quella sì che era una novità preoccupante. Prese il cellulare per chiamarla e respirò nicotina a grossa boccate: trovò soltanto la voce della segreteria. Con l’ansia addosso decise allora di chiamare Claudia.
«Pronto, Claudia / Scusami per l’ora ma sono preoccupato per Laura, è lì con te vero? / Come non vi siete viste, mi ha detto che vi sareste incontrate? / Claudia se sai qualcosa dimmelo, non ha preso neppure le medicine / Non hai neppure una vaga idea? / Ora provo a rintracciarla, se hai sue notizie chiamami immediatamente / Grazie ma non c’è bisogno / Sì, grazie ancora.»
Una sensazione spiacevole gli strinse lo stomaco strisciando sotto pelle fino a fargli girare la testa. Si precipitò sulle pagine social di Laura in cerca di indizi, ma l’ultimo aggiornamento risaliva a più di un mese fa: una loro foto in Abruzzo, durante un breve week end nel quale di certo non erano mancati i soliti battibecchi. Accese un’altra sigaretta e si rivestì controllando se nell’armadio ci fosse qualche segnale d’allarme. Accarezzò l’ariosa sciarpa che gli aveva regalato l’ultimo Natale e che lei non aveva mai indossato; giaceva annodata su una stampella con l’etichetta ancora attaccata. Immaginò Laura sola e confusa per le strade della città sotto quel temporale, in pericolo, alla mercé di qualunque malintenzionato. Si affacciò al balcone incurante della pioggia sottile che maculava la sua camicia. La cercò con lo sguardo nelle strade allagate ma vide soltanto l’oscurità che inghiottiva il parco della Caffarella illuminato a tratti da squarci di luce disegnati nel cielo.



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